Scudetto da braccio X° Flottiglia MAS rosa lunga da ritrovamento storia vissuta Genova Decima Mas R.S.I.
Scudetto metallico da braccio “Decima Flottiglia MAS”, modello detto “rosa lunga”.
Descrizione prodotto
Scudetto da braccio “Decima Flottiglia MAS”, assolutamente originale, modello detto “rosa lunga”, in ottone.
Elemento fondamentale della divisa e dell’iconografia dei marò della Xa MAS, lo scudetto da braccio “Decima Flottiglia MAS” rappresentava la continuità tra gli arditi del mare pre 8 settembre 1943 e i reparti navali e terrestri dopo l’armistizio. Lo scudetto è stato prodotto sia in modello ricamato in canottiglia, sia, molto più comunemente, in metallo (zama nuda, nichelata, bronzata o ottone), con piccole differenze, a seconda del produttore, nel conio del teschio e della rosa e nella smaltatura.
Epoca | 1944 |
Nazione | Italia |
Materiali e finiture | Ottone |
Dimensioni | Lunghezza 7,5 cm |
Rarità |
(Militi della X MAS)
Il presente esemplare, del modello detto “rosa lunga”, elemento del conio che lo identifica chiaramente, è stato rinvenuto, legato con fil di ferro altri oggetti, interrato in un uliveto posto sulla mulattiera che collega Zuccarello a Castelvecchio di Rocca Barbena (Albenga). Interessante notare come in questa zona fossero operativi, tra le diverse unità della RSI – comprendenti anche la Base Ovest dei mezzi d’assalto della Xa MAS a Imperia – anche elementi della Divisione FM San Marco dell’Esercito Nazionale Repubblicano, dal luglio 1944 all’aprile 1945. Sapendo che 1.500-2.000 volontari in esubero presso la Xa MAS furono ruotati nel 1944 a questa costituenda GG.UU. dell’Esercito Nazionale Repubblicano, e che per essi, pur incorporati nella San Marco, fu punto d’onore mantenere sulla spalla sinistra cucito lo scudetto della Decima, nonostante le disposizioni in senso contrario emesse dal comandante divisionale Generale Amilcare Farina, è storicamente attendibile supporre che il distintivo in oggetto appartenesse a marò della Xa destinato alla San Marco, e sia stato costretto a disfarsene al momento della cattura da parte di partigiani locali. Infatti, mentre gli effettivi della San Marco erano per una buona proporzione personale già proveniente dalle precedenti FFAA regie o delle classi di leva della RSI, la provenienza da Volontari, e della Xa MAS per di più, risultava spesso in una condanna a morte sommaria se presi prigionieri da formazioni della Resistenza.
Un pezzo perfettamente coerente per materiali, dimensioni e peso, e, inoltre, dalla storia particolare e drammatica, sicuramente portato; questo lo distingue dalla maggior parte degli scudetti originali “Decima Flottiglia MAS” presenti sul mercato, provenienti da fondi di magazzino e mai indossati sul campo dal personale militare al quale erano destinati.
(Il marò della Divisione San Marco Sergio Moro in Liguria.)
Presentiamo quindi due estratti delle memorie di Sergio Moro, un marò della San Marco operante in quel settore, relativi alle operazioni antipartigiane nell’area di Albenga e la ritirata verso nord dopo il 25 aprile:
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, che divide di fatto l’Italia in due metà l’un contro l’altra armata, già nel gennaio 1944 la Regia Marina ricostituisce il Reggimento San Marco, che combatterà al fianco degli Alleati.
Nello stesso periodo, anche nella Repubblica Sociale Italiana viene costituita una Divisione Fanteria di Marina, denominata “San Marco”.
La Divisione “San Marco”, dopo la sua formazione ed addestramento in Germania, sarà dislocata in Liguria in funzione antisbarco, schierata dalla piana di Albenga sino alla displuviale degli Appennini, ed un suo battaglione parteciperà, nel dicembre 1944, all’operazione italo-tedesca “Wintergewitter”, una offensiva locale in Garfagnana condotta contro le posizioni della 92° Infantry Division americana.
L’offensiva conseguirà i risultati voluti, dando alle forze dell’Asse in Italia un’ultima ed effimera vittoria.
Un altro battaglione, il “Blotto”, sarà inviato sempre contro gli Alleati sull’Abetone, e il suo III Gruppo Esplorante nelle Langhe, per operazioni di controguerriglia e di presidio.
Nella caserma di San Bartolomeo a La Spezia si forma il Btg. “Barbarigo” (inizialmente denominato Maestrale); dopo brevissimo addestramento, questo Battaglione è il primo reparto della Decima ad essere inviato contro gli Alleati, sul fronte di Anzio/Nettuno, dove si distinguerà, nonostante lo scarso addestramento e l’obsolescente armamento, contro i reparti angloamericani.
Incorporando anche elementi provenienti dai reparti N. e P. (Nuotatori e Paracadutisti), si forma il Btg. “N.P.”, a La Spezia prima e con base a Jesolo poi.
Sono uomini particolarmente dotati nel fisico, nel morale e nell’addestramento, doti che saranno messe a frutto in drammatiche azioni dietro le linee Alleate, nei combattimenti in Venezia Giulia contro il IX Korpus sloveno e sul fronte meridionale del Senio, in Romagna, contro inglesi e neozelandesi.
Sempre a La Spezia nasce il Btg. “Lupo”: a differenza di altri reparti, ha la possibilità di un periodo più lungo di addestramento, effettuato presso una Divisione di Fallschirmjäger tedeschi. La grande coesione ottenuta sarà dimostrata in combattimento, in particolar modo sul Senio, nel febbraio-marzo 1945.
Nel Btg. “Fulmine” convergono ex bersaglieri. Vengono aggregati i “Volontari di Francia”, ragazzi figli di immigrati italiani oltralpe. Anche loro danno il loro contributo nella difesa dei confini orientali d’Italia contro le forze slave di Tito.
Ed ancora tanti altri reparti della Decima: a Venezia il Btg. Serenissima, a Pavia il Btg. Guastatori Alpini “Valanga”, a La Spezia il Btg. “Sagittario” e così i Gruppi di artiglieria “Colleoni” e “San Giorgio”, per il genio il Btg. “Freccia”.
Per la prima volta nella storia d’Italia si forma un corpo militare volontario femminile, il S .A. F. (Servizio Ausiliario Femminile), che entra a far parte della Divisione Decima (S.A.F. Decima).
“Nel settembre 1944, da Albenga, Savona ed Arenzano partirono tre forti colonne della San Marco, lasciando negli accantonamenti pochi uomini di presidio, per lo più malati), dirette a liberare i monti dell’entroterra ligure dalla presenza delle bande partigiane che dominano la zona, la più celebre delle quali era la “Mauri”. L’operazione consistette in una manovra a tenaglia per poi congiungersi sul Colle di Melogno, a 1.020 metri di altitudine, dal quale si dominano i colli liguri e la pianura piemontese. Sulla cima di questo monte esiste un vecchio forte, dove i partigiani avevano posto il loro Comando, e da dove partivano per le loro azioni. Le cucine da campo e i vettovagliamenti che ci seguono lasciano intendere che non si tratta di un semplice rastrellamento ma qualcosa di più importante. Il primo giorno raggiungiamo la quota di 800 metri, dove ci accampiamo tra le macerie di una vecchia baita, posta in una posizione dominante e dove dei muri spessi mezzo metro permettono un riparo nel caso di un attacco partigiano; compito della mia Squadra è di vigilare sulla sicurezza della colonna. Le condizioni atmosferiche ci sono sfavorevoli, in quanto in una notte tersa ed una luna piena permettono ai nostri nemici di vederci con facilità anche se siamo ben mimetizzati. Il mattino seguente ci svegliamo con il sorgere del sole, e partiamo immediatamente per raggiungere l’obiettivo fissato. Arrivati a poche centinaia di metri dal forte, occupato da numerosi partigiani, prendiamo posizione per sferrare l’attacco. Un partigiano, evidentemente disertore della San Marco, osserva con un binocolo il nostro movimento, riconoscendo alcuni Marò e chiamandoli a gran voce per nome, e invitandoli a fuggire prima che cadano nelle loro mani. La voce del partigiano rimbomba nella valle e fa impressione; poi cala il silenzio prima dell’attacco. La battaglia è cruenta; una nostra pattuglia riesce ad aggirare il forte, piega la resistenza degli occupanti e entra nel forte, subito seguiti dalla mia Compagnia, che ha vinto la resistenza partigiana anche sul lato opposto. Nonostante il poderoso volume di fuoco sviluppato dai nemici con armi automatiche questi fuggono, e noi prendiamo possesso dell’obiettivo e di numerose armi di fabbricazione inglese. Nel terzo giorno dall’inizio di questa operazione riprendiamo la marcia in mezzo alle montagne, dove abbiamo altri scontri con i partigiani, che non accetteranno mai il combattimento a viso aperto, consapevoli della loro inferiorità d’addestramento. Alla sera ci accampiamo in una baita abbandonata e ci addormentiamo, vinti dalla stanchezza, su di uno strato di foglie secche, senza stabilire dei turni di guardia; questa dimenticanza poteva costarci molto cara. Il giorno seguente siamo di ritorno alla base, ma i partigiani, poco dopo la nostra partenza dal forte, riconquistano il medesimo, in quanto non ci era possibile presidiare tutta la zona oggetto della nostra operazione. Tutto tornava apparentemente come prima, ma i nemici avevano capito che la San Marco poteva spezzarli quando voleva. A guerra finita ebbi le prove che da Albissola Marina un traditore informava, tramite telefono, i partigiani dei nostri movimenti e rastrellamenti. Per contrastare i partigiani nel loro stesso terreno adottammo la strategia della Controbanda, una sessantina di Marò, tutti volontari, come gli Ufficiali dell’unità, che si camuffavano da partigiani utilizzando, quasi tutti, armi inglesi (mitra Sten e mitragliatori Bren). La popolazione, credendoli partigiani, comunicava loro preziose informazioni sui movimenti e la dislocazione dei “veri” partigiani, permettendoci così di infliggere dure perdite al nemico, arrivando all’improvviso nelle loro postazioni.”
“All’alba del 26 aprile, nonostante il buio pesto, si riprende il cammino su ordine del Comando, e la mia Squadra viene posta a retroguardia, ultima della Divisione. I primi Marò erano già alle porte di Vigevano e Magenta, l’ordine era sempre di raggiungere il fiume Ticino, per un’ulteriore resistenza. Ai lati della strada e dei paesi, nessuno, proprio nessuno, ma siamo certi che ci stanno spiando da dietro le finestre chiuse. Mi trovo ultimo di una Divisione; dietro, né un camerata, né un partigiano, solo il rumore degli scarponi chiodati e della buffetteria, il suono della fanteria in marcia, e il cadenzare degli zoccoli dei cavalli, e il silenzio assoluto intorno, il silenzio che ti attanaglia quando il rumore delle colonna si spegneva, e attorno un silenzio di morte. Procedemmo quindi verso Spigno-Piana Crixia-Acqui. In aperta campagna, viene dato l’allarme aereo: i pochi alberi qua e là della zona danno poche possibilità di riparo, cosicché Magnani, di Reggio Emilia, mio camerata dai primi giorni di militare, e io ci portammo di corsa nel fondo di un fossato asciutto, profondo mezzo metro e largo altrettanto, distante un centinaio di metri dalla statale, e troviamo riparo dietro un grosso albero, che, posti uno dietro l’altro, ci avrebbe protetto: i nostri istruttori tedeschi ci avevano insegnato che il legno è uno dei migliori ripari, poiché il proiettile tende a conficcarsi e non lo supera. Avvistiamo un aereo che cola lentamente, e pensiamo ad un ricognitore giallino che vedevamo a Savona; l’aereo spara una raffica sulla colonna, ma poco distante da noi è installata una quadrinata da 20 mm, messa subito in azione dai serventi tedeschi: una raffica all’aereo, e esso sparisce dietro una collinetta. Tutto finito. Poco dopo passa un camion carico di partigiani, con bandiere rosse e armati di tutto punto, diretto verso Acqui. Siamo al centro della fine di un avvenimento epocale: è nostra intenzione non cadere vivi in mano ai partigiani, perché tanto, se ci catturassero, senz’altro non ci tratterebbero da prigionieri di guerra. Pensiamo di usare i nostri Mauser, ponendo il calcio del fucile a terra e la canna in bocca. Magnani, in quel frangente, mentre puliva la canna del suo fucile, con calma mi disse: “Prima di colpire me, ne prenderò molti di loro”. Ma l’allarme cessa poco dopo, la colonna si riordina sulla statale, e tutto è rimandato a momenti più difficili. Magnani, come altri Marò, aveva delle idee politiche non proprio vicine a quelle del Fascismo Repubblicano, eppure tutti fecero il loro dovere di Marò sino alla fine; penso che tutti, il 25 aprile 1945, fossero degni di un encomio. L’istruzione militare in Germania forgiò buoni Marò, e fu ammirevole l’attaccamento alla Patria sortito dai loro cuori, con purezza. Erano Marò e soltanto Marò.”
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