Placca Distintivo 4° Giro Aereo LOMBARDIA 1935 Aero Club Milano Regia Aeronautica Balbo
Placca distintivo commemorativa del Raduno Aereo e 4° Giro di Lombardia, del 16 Giugno 1935 , anno XIII dell’era fascista, organizzato dall’Aero Club di Milano…
Descrizione prodotto
Placca distintivo commemorativa del Raduno Aereo e 4° Giro di Lombardia, del 16 Giugno 1935 , anno XIII dell’era fascista, organizzato dall’Aero Club di Milano. La placca distintivo è realizzata in metallo argentato stampato e smalti policromi, con figure di aerei che sorvolano un’area del territorio lombardo, con evidenziate in una sorta di cartina le tappe dal giro aereo stesso. Al centro la figura del Duomo di Milano, a rappresentare la centralità della città meneghina in questa manifestazione. Sul distintivo ci sono tre piccoli forellini che servivano per far passare il filo di cotone, volendo applicare il fregio su un capo di abbigliamento, o sistemare piccoli chiodi in caso di uso su superfici rigide. Marcato PACCAGNINI – Milano , in rilievo alla sinistra della facciata del Duomo. Il distintivo è in ottime condizioni di conservazione, smalti integri, con piccoli segni di usura, e bella patina donata dal tempo. Oggetto da poter inserire in una bella collezione di aviazione, con testimonianze di epopea aviatoria, di gesta di piloti ed eroi che sin coi primi palloni aerostatici per poi passare ai nascenti velivoli, man mano sempre più performanti, hanno dato lustro all’Italia ( Ferrarin, d’Annunzio, De Pinedo tanto per citarne qualcuno)
Epoca | 1935 |
Nazione | Italia |
Materiali e finiture | metallo bianco e smalti |
Dimensioni | diametro 60 mm - altezza 65 mm |
Peso | 40 gr |
Rarità |
La storia dell’Aero Club Milano (AeCM), uno dei più antichi aero club d’Italia, ha inizio la sera del 13 settembre 1926 quando nello storico e centralissimo palazzo di Corso Venezia alcuni soci dell’Automobile club, elessero Manillo Zerbinati primo presidente. Oltre all’addestramento di piloti civili e militari, l’ aeroclub è stato promotore di voli acrobatici e raid, come quello realizzato nell’estate del 1932 dalla celebre Gabriella Angelini, ribattezzata Little Gaby dopo che effettuò in 25 giorni un “tour” europeo facendo tappa in varie città del Vecchio Continente e sorvolando Austria, Cecoslovacchia, Germania, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Inghilterra e Francia.
Terminato il conflitto il panorama dell’aviazione lombarda si presentava assai triste: gli aeroporti erano tutti fuori uso, fabbriche e impianti erano stati distrutti o seriamente danneggiati. Aero Club Milano, costretto a chiudere la scuola, si ritrovò una flotta semi disintegrata, un’officina incenerita, debiti con personale, assicurazioni e fornitori. Mentre l’Aeronautica cominciò a riattivare pian piano i collegamenti nazionali, grazie alla ferrea volontà dei suoi soci Aero Club Milano comprò per 1 milione e 400 mila lire tre velivoli Piper J3C Cub, recuperati in un campo di residuati bellici vicino a Napoli.
Nel 1960 a causa dello sviluppo del traffico commerciale dello scalo di Linate, l’Aero Club Milano si spostò all’aeroporto di Bresso, un’area fin dal 1912 destinata all’attività di volo, per via di un lascito testamentario allo Stato italiano col vincolo di mantenerne la destinazione. Pian piano prese forma l’attuale destinazione turistica e sportiva del campo. Nel 1965 una pista in asfalto sostituì quella in erba, consentendo così la piena attività di volo tradizionale e acrobatico in ogni stagione.
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Mentre si stava profilando la partecipazione dell’Italia al conflitto, nel maggio del 1915 l’aviazione militare era praticamente ancora tutta da organizzare e poteva contare su tre dirigibili e un’ottantina di aerei operativi divisi in una quindicina di squadriglie, oltre ai velivoli in dotazione alla regia marina. Si trattava di macchine (Blériot, Farman e Nieuport) in gran parte dotate di motori rotativi realizzati con processi costruttivi ancora artigianali, dalla manutenzione complessa e frequente, inadatti a un intensivo uso bellico.
Nel gennaio 1915 fu costituito il Corpo aeronautico, composto da una Direzione generale e due Comandi d’aeronautica, quattro battaglioni (dirigibilisti, aerostieri, squadriglie aviatori e scuole aviatori), oltre a uno stabilimento di costruzioni aeronautiche, una Direzione tecnica (DTAM, Direzione Tecnica Aviazione Militare) e un Istituto centrale aeronautico.
In base ai dati forniti nel 1919 dall’Ufficio produzione della Direzione tecnica, le otto fabbriche di costruzioni aeronautiche operanti nel 1915 nel corso della guerra erano salite a ventisette, in grado di produrre un totale di circa 12.000 aerei (dai circa 400 aerei prodotti nel 1915 si sarebbe arrivati a quasi 6500 nel 1919. Nello stesso periodo le officine specializzate nell’assemblaggio dei motori costruirono circa 24.000 propulsori, passando da sei a diciotto, mentre il ramo delle riparazioni e della componentistica, formato da decine di imprese, nacque praticamente da zero durante il conflitto. Poche centinaia di operai impiegati nel 1915 nel settore aeronautico alla fine della guerra diventarono decine di migliaia.
I numeri, nonostante la produzione in cifre assolute sia molto inferiore a quella dei maggiori Paesi coinvolti nel conflitto, attestano efficacemente gli sforzi profusi per garantire un numero adeguato di aeroplani all’esercito italiano: tale mobilitazione produttiva si può cogliere nelle inserzioni pubblicitarie comparse sui giornali che attestano l’impegno dell’industria aeronautica per lo sforzo patriottico, anche attraverso il finanziamento di lauti premi in denaro destinati ai migliori piloti da caccia o da bombardamento elargiti dalle maggiori fabbriche di materiale bellico (Fiat, Michelin, Pirelli, ma anche le più piccole Officine di Savigliano). I concorsi promossi periodicamente dalla stampa e finanziati dalle imprese contribuirono a diffondere il mito dell’aviatore, spesso ritratto nelle riviste come un eroe-dandy, in posa accanto ad aerei con stemmi personalizzati (su tutti, l’inconfondibile cavallino rampante di Francesco Baracca o il teschio nero di Fulco Ruffo di Calabria).
Al termine del conflitto, nell’ambito della fisiologica contrazione delle spese belliche, fu inevitabile procedere al ridimensionamento delle dotazioni aeronautiche e degli organici.
Nel dopoguerra la difficile riconversione al mercato civile della produzione aeronautica fu caratterizzata dalla mancanza di una chiara strategia di sviluppo del settore, nonché di realistici piani industriali per nuovi velivoli. I primi tentativi promozionali dell’aeronautica commerciale videro protagonisti uomini pochi mesi prima acclamati per le loro imprese belliche: i numerosi raid e circuiti aerei organizzati dai costruttori ebbero il compito di esaltare le prestazioni di velivoli e motori derivati da prodotti militari, come nel caso dei propulsori Isotta Fraschini che – si legge in una pubblicità diffusa sulla stampa dell’epoca – «tanto validamente contribuirono, nel periodo di guerra, al successo delle più gloriose imprese aeree» e quindi «saranno, durante la pace, mezzo potente nelle più feconde opere della nuova aviazione commerciale».
La forza evocativa del volo, accresciuta notevolmente durante il conflitto fino a diventare mito della guerra aerea e dei suoi ‘assi’, venne sfruttata dal fascismo per manifestare il moderno, volitivo e dinamico spirito del regime nell’ambito dell’esperimento totalitario mussoliniano: non è un caso che uno dei primi provvedimenti legislativi assunti dal governo fascista nel gennaio 1923 avesse riguardato la costituzione del Commissariato per l’aeronautica, incaricato di sovrintendere a tutte le questioni inerenti l’aviazione militare e civile. Un atto propedeutico alla creazione della regia aeronautica sancita appena un paio di mesi dopo (marzo 1923) e, nel 1925, all’istituzione del ministero dell’Aeronautica.
Quando, nel 1926, Italo Balbo (1896-1940) divenne sottosegretario del nuovo ministero, e poi ministro dal 1929, fu chiaro il ruolo attribuito all’aviazione sia militare sia civile: un compito di propaganda che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere sorretto da un eccellente livello tecnico-organizzativo. Si spiega così la scelta di collaboratori del ministero in grado di esaltare l’immagine e la sostanza dell’aviazione italiana, da Filippo Masoero (1894-1969), esponente del fotodinamismo futurista, nominato da Balbo direttore delle ricerche fotografiche e cinematografiche, ad Alessandro Guidoni (ex pilota di idrovolanti e dal 1923 comandante del genio aeronautico.
In questo scenario operano i vari Aero Club italiani, dove si avvicenderanno personaggi più o meno noti, con i lori raduni aviatori e raid, contribuendo così alla propaganda di settore, dove però il mondo dell’aviazione, e soprattutto il diffuso immaginario collettivo popolato da eroi solitari, fu ridisegnato in base al principio mussoliniano dell’«armonico collettivo», per il quale le azioni dei singoli, anche le più eroiche, acquisivano significato esclusivamente all’interno dello Stato e della collettività. In tale contesto, anche le trasvolate solitarie di Francesco De Pinedo (1890-1933) dall’Italia all’Australia (1925) e quella compiuta con Carlo Del Prete verso le isole di Capo Verde, l’Argentina e l’Arizona (1927), pur inizialmente esaltate dal regime, cominciarono ad apparire legate a una desueta epopea aviatoria.
Nell’intento di dare centralità al concetto di squadra, nel 1928 Balbo fondò il Reparto alta velocità di Desenzano del Garda per preparare gli aerei e gli equipaggi destinati alle competizioni aeronautiche internazionali.
La formula preferita per cementare lo spirito di gruppo e il senso di appartenenza fu quella del raid collettivo, collaudata tra il 1928 e il 1929 attraverso l’organizzazione delle crociere del Mediterraneo occidentale e orientale, cui parteciparono decine di idrovolanti della regia aeronautica. Tale indirizzo operativo trovò la massima espressione nelle trasvolate oceaniche del 1930-31 da Orbetello a Rio de Janeiro e del 1933 da Orbetello agli Stati Uniti, portate a termine da due pattuglie di idrovolanti Savoia-Marchetti S.55 comandate da Balbo.
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