Scultura componibile Profilo continuo del Duce scultore Renato Bertelli Fermalibri 1933 Futurismo
Rarissima realizzazione del famoso Profilo continuo del Duce, o Dux, opera originale dello scultore Renato Bertelli che ideò nel 1933 questa rappresentazione di Benito Mussolini in perfetto stile futurista…
Descrizione prodotto
Rarissima realizzazione del famoso Profilo continuo del Duce, o Dux, opera originale dello scultore Renato Bertelli che ideò nel 1933 questa rappresentazione di Benito Mussolini in perfetto stile futurista.
L’articolo qui proposto è una interpretazione inusuale e molto particolare della famosissima scultura, si tratta di un profilo diviso in due metà, atte a formare due fermalibri, ma che se avvicinate ricompongono il profilo continuo per intero.
Questa scultura componibile è realizzata in pietra asfaltica, o pietra pece originaria del territorio di Ragusa in Sicilia, cioè una pietra bagnata di petrolio. La roccia asfaltica e’ infatti un calcare tenero impregnato – secondo percentuali diverse – di bitume.
I due fermalibri sono in condizioni splendide, su uno possiamo notare la presenza dell’etichetta originale con il marchio di fabbrica parzialmente leggibile, forse: “Gaetano Montes Rovetto”.
Le due parti inoltre presentano una M incisa sotto le due basi.
Splendidi oggetti museali anche per importanti raccolte di Mussoliniana.
In tanti anni di appassionata ricerca nel settore, non avevamo mai rinvenuto nulla di simile, dunque possiamo azzardarci ad affermare che siamo di fronte ad una vera rarità!
Epoca | 1933 |
Nazione | Italia |
Materiali e finiture | Pietra asfaltica o pietra pece |
Dimensioni | altezza circa 17 cm |
Peso | circa 2 kg |
Rarità |
Lo scultore Renato Bertelli nasce a Lastra a Signa nel 1900 e muore a Firenze nel 1974.
Formatosi all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, agli inizi degli anni 30 entra nel gruppo dei futuristi indipendenti diretti da Antonio Marasco, ricoprendo il ruolo di “Capogruppo Signa”.
E’ del 1933 l’idea dell’opera conosciuta come “Profilo continuo del Duce”. Un busto di Benito Mussolini interpretato in stile futurista, dal profilo visibile a 360°.
Ben presto Bertelli comprende che la sua creazione aveva suscitato un interesse importante, e il 26 luglio del 1933 lo brevetta nel mondo. Il successo arriva immediatamente, ed il profilo viene prodotto in vari materiali e misure, dalle enormi (ormai quasi tutte andate distrutte dopo la caduta del fascismo) alle piccole a mo’ di soprammobile. Viene collocato anche presso le sedi del Partito Nazionale Fascista, dei Gruppi Regionali, delle Case del Fascio e non manca di essere presente in moltissime case private italiane. Alcune aziende lo produssero in bachelite o in materiale autarchico. La Emme Effe di Milano ne acquista i diritti per produrlo in diverse versioni.
La fama di questa scultura futurista ha ormai assunto caratteri mondiali.
Un esemplare è conservato al Museo imperiale della guerra a Londra.
Un altro presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze.
Uno in terracotta dipinta alto 29 cm è stato esposto al centenario della Biennale di Venezia del 1995.
Una versione delle Effe Emme è nel Museo del Ventennio di Alagna Lomellina (Pavia).
Sono molte le mostre internazionali che ne hanno esposto questo busto/scultura.
Fra queste l’Ermitage di Sampietroburgo.
Esemplari del Profilo appaiono in aste internazionali, realizzando cifre di aggiudicazione veramente importanti.
Roccia asfaltica ovvero la “Pietra Pece”
L’asfalto e’ una pietra bagnata di petrolio. La roccia asfaltica e’ infatti un calcare tenero impregnato – secondo percentuali diverse – di bitume. Il bitume e’, sostanzialmente, un idrocarburo, cioe’ petrolio. Tutto questo a Ragusa si chiama “pietra pece”.
Le prime testimonianze della lavorazione dell’asfalto risalgono ad epoche pre-elleniche: alcuni sarcofagi trovati in contrada Tabuna, periferia Sud della citta’, ne testimoniano l’utilizzo tra le popolazioni indigene. Altri manufatti antichi popolano tutte le epoche, comprese anche alcune belle opere artistiche, dalla fonte battesimale conservata nella Chiesa di San Tommaso ad Ibla, datata 1545 e “firmata” dal suo costruttore, il “fabrius et architettorici Blundo”, ai capitelli delle due cattedrali, di San Giorgio e di San Giovanni, passando dal bellissimo scalone della Chiesa dell’Immacolata ad Ibla, dove si conserva un’altra testimonianza della lavorazione artistico-artigianale della roccia asfaltica, ovvero la lastra tombale di un anonimo aristocratico ibleo, non datata ma verosimilmente cinquecentesca.
Altre testimonianze della lavorazione della roccia bituminosa sono contenute nei diari di viaggio del francese Jean Houel, a inizio ‘800, e pochi anni dopo del suo connazionale, il famosissimo geologo Deodat de Dolomieu.
Per tracciare la storia industriale dell’asfalto bisogna invece attendere il 1838. In quell’anno tre soldati svizzeri chiesero al Borbone la liberatoria per lavorare una piccola miniera nella citata contrada Tabuna. La venalita’ del sovrano, che chiese altissime tasse per l’estrazione del minerale, fece fallire l’affare. Da allora furono in tanti gli imprenditori, gli speculatori, gli scienziati che si interessarono alla particolare pietra che – se riscaldata (e basta il sole di una nostra giornata d’estate) – oltre a esalare un particolare profumo diventa malleabile per tornare dura appena scesa la temperatura. Il fenomeno si acutizza se alla temperatura si associa una forte pressione. La roccia interessava anche per l’uso di tipo edilizio largamente inteso che se ne era fatto fino a quel momento, ma soprattutto per le possibilita’ che la pietra nera lasciava intravedere nel settore industriale. Due i settori maggiormente interessati alla lavorazione industriale della roccia asfaltica: la possibilita’ di estrarre l’idrocarburo (che puo’ divenire un liquido lubrificante ma anche carburante) e, quale diretta conseguenza, la possibilita’ di “bitumare”, appunto, le strade che fino allora erano in terra o lastre pietrose.
Le quattro compagnie si spartirono i trecento ettari scarsi del giacimento asfaltifero di Tabuna, Cortolillo, Sdirrubbato, Petrulli, Volpe e Pennente. Tra gli ultimi trenta anni dell’800 e i primi venti del ‘900 le citate compagnie (Limmer e Val de Travers si fusero ai primi del secolo) impiegarono migliaia e migliaia di lavoratori (picconieri, minatori, ragazzini che in altre miniere siciliane si chiamavano “carusi”, carrettieri e sorveglianti) per estrarre da cave e miniere centinaia di migliaia di tonnellate della roccia scura, parte della quale veniva frantumata per essere trasportata a Mazzarelli – in carretto – ed essere imbarcata prima sui barconi e poi sui piroscafi alla fonda e destinata alla Gran Bretagna, Francia, Germania e al resto d’Europa. La parte rimanente era lavorata sul posto per estrarne l’idrocarburo. Una citazione folclorica quanto documentata sul piano storico ricorda che la prima strada al mondo ad essere asfaltata come oggi vediamo tutte le strade del mondo, fu la Rue Bergere di Parigi. Era stata asfaltata con pietra e bitume proveniente dalle miniere di Ragusa della Compagnie Nationale pour l’exploitation des Asphalte Naturelle.
L’intero processo era definibile certamente “industriale” per ampiezza delle lavorazioni minerarie e della manodopera impiegata, non certamente per la tecnologia utilizzata.
Un vero e proprio processo industriale moderno vedra’ la luce solo negli ultimissimi anni dell’800 in contrada Castelluccio-Streppenosa (a meta’ strada esatta tra Ragusa e Scicli, sulla sponda sinistra dell’Irminio) per opera di due aziende tedesche, la Heinrich Kopp e la Weiss und Freitag. I tedeschi avevano sondato i terreni limitrofi al conclamato giacimento di Tabuna, senza risultati positivi.
Preferirono quindi lavorare i terreni di Castelluccio e Streppenosa, piu’ poveri di bitume e piu’ difficili da lavorare. Quella pietra pece era quindi piu’ costosa ma i tedeschi, volendo bitumare le strade del loro Reich, preferivano comunque spendere di piu’ per l’asfalto ibleo, ritenuto molto migliore rispetto a quello estratto dalle loro miniere di Limmer o dalle miniere abruzzesi di Scafa, in provincia di Pescara. Quelle di Castellucio-Streppenosa sono miniere bellissime, tutt’oggi affascinanti ancorche’ abbandonate da quasi ottanta anni. O forse proprio per questo. Infatti allo scoppio della Prima Guerra Mondiale i possedimenti dei tedeschi vennero requisiti per essere dati in concessione alla azienda italiana che piu’ di ogni altra ha segnato la storia dell’asfalto ragusano, cioe’ della pietra pece: la A.B.Co.D., acronimo per Asfalti Bitumi Combustibili liquidi e Derivati.
La storia di questa azienda – una delle prime in Italia a capitale parzialmente pubblico – meriterebbe uno spazio interamente dedicato. Una azienda con sede sociale a Roma, nata appositamente per sfruttare, grazie anche a rivoluzionari (per l’epoca) brevetti di geni come l’ingegnere Roma o l’ingegnere De Bartolomeis, proprio quei giacimenti asfaltici che erano visti come una riserva soprattutto di idrocarburo (immaginato quale enorme serbatoio di benzine combustibili). E tra i giacimenti asfaltici nazionali quelli di Ragusa erano – e sono – indubbiamente i migliori.
La A.B.Co.D. prima convisse con le aziende inglesi (i francesi avevano ceduto alla fine dell’800), e poi, causa lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ne sottrasse le cave e le miniere. Al suo interno lavoravano quasi duemila tra lavoratori semplici, apprezzati minatori, stimati conduttori di impianti (soprattutto dei forni De Bartolomeis, i gassogeni che estraevano di fatto l’idrocarburo dal calcare) e poi schiere di carrettieri, meccanici, garzoni, carpentieri etc.
Per decenni stuoli di “piciaruoli” lavorarono dall’alba al tramonto per estrarre la pietra pece. La loro fatica è stata eternata dal maggiore tra i nostri poeti, Vann’Anto': “O scuru vaiu, o scuru viegnu, o scuru fazzu u santu viagghiu “, scriveva il poeta che tra i suoi familiari aveva tanti “picialuri”.
La A.B.Co.D. dava lavoro anche grazie ai contributi statali, che crebbero di molto durante il ventennio fascista: la necessita’ di estrarre petrolio divenne infatti impellente nell’ambito della autarchia mussoliniana. Quando il Duce venne in visita a Ragusa, sia nel 1924 che soprattutto nel 1937, la A.B.Co.D. era una florida azienda che lavorava la pietra anche per bitumare le strade e far correre i mezzi militari che si preparavano alla guerra.
Ma la pietra pece estratta dalla A.B.Co.D. finiva anche nel forno Roma, dal nome dell’ingegnere che lo aveva brevettato.
Una bellissima macchina che raffinava il bitume grezzo estratto dall’asfalto per farne benzina da autotrazione. “La liberazione energetica” venne definita allora. E quando il capo del governo fascista chiese la potenzialita’ del giacimento, i tecnici ragusani, mentendo sapendo di mentire, risposero che tutta la roccia bianca che il Duce poteva osservare era asfalto. Nulla di piu’ falso. Il giacimento era e rimase in quei trecento ettari scarsi tutto attorno a Tabuna. Il resto era “timpa”, dura e senza niente dentro.
Ma intanto era arrivato il 26 dicembre 1926 e il capoluogo della nuova provincia era stato stabilito: Ragusa.
La guerra costrinse gli impianti a regime minimo. Gli operai erano diventati soldati e tra il 1943 e il 1945, quando tornarono da reduci, trovarono una situazione totalmente diversa: i capitalisti inglesi – ai quali lo Stato dovette restituire terreni e impianti – non avevano nessuna intenzione di investire. La stessa A.B.Co.D. non aveva risorse finanziarie e le migliaia di reduci reclamavano quel lavoro che avevano lasciato a favore della baionetta e del moschetto. Cominciarono le lotte sindacali che raggiunsero l’apice nel 1949 con l’occupazione delle miniere da parte delle famiglie dei picialuori.
Quell’anno segno’ una svolta importante nella storia della pietra pece. Oltre alla fondazione di una azienda che oggi e’ l’unica a lavorare l’asfalto, la Antonino Ancione, la Regione siciliana strinse un accordo con la societa’ Calce e Cementi Di Segni, del Gruppo Bombrini-Parodi-Delfino.
Secondo gli accordi, la Calce e Cementi Di Segni rilevava tutti gli impianti, le cave e le miniere della Asfalti Bitumi Combustibili liquidi e Derivati, impegnandosi in una totale e radicale trasformazione: secondo un proprio brevetto che la societa’ aveva con successo applicato a Scafa, l’asfalto era estratto per essere lavorato come prima, ovvero privato dell’idrocarburo al proprio interno, ma con una successiva novita’ che determino’ il successo dell’operazione: il bitume era utilizzato quale combustibile di un alto forno (il “mitico” forno “Breda ” montato nel 1951) nel quale si lavorava quel calcare ormai privo di bitume, nel gergo minerario “esausto ” (che prima finiva nella enorme discarica che si vede dalla strada antica Ragusa-Modica) per farne il cemento pozzolanico venduto a caro prezzo in tutto il Mediterraneo – ma anche in Giappone – perche’ ritenuto ottimo per la moderna edilizia.
Si trattava di una lavorazione industriale a ciclo chiuso, che garantiva ottimi ricavi e soprattutto il lavoro a migliaia di ragusani tra il diretto e l’indotto. Nel 1953 il ciclo venne ancora migliorato grazie ad un accordo tra la Bombrini-Parodi-Delfino e la Gulf Italia per lo sfruttamento del petrolio scoperto sulla verticale dello stabilimento di Contrada Tabuna. La Calce e Cementi di Segni rilevo’ quindi l’antica A.B.Co.D. e la fece diventare la A.B.C.D., ovvero la Asfalti Bitumi Cementi e Derivati. Dal 1951 al 1968 (quando la societa’ venne ceduta all’ANIC del Gruppo ENI) fu una grande pagina della storia industriale italiana. Anche perche’ la BPD – proprietaria dello stabilimento ragusano – concesse tantissimo alle maestranze in termini di tutele sindacali, sicurezza sul lavoro, assistenza extra lavorativa.
Quando nel 1968 arrivarono i manager dell’ENI garantirono gli stessi livelli occupazionali e gli stessi investimenti, ma solo per circa un decennio, scegliendo poi di non lavorare piu’ la pietra pece.
Si chiudeva un’epoca. Successivamente subentro’ quella decadenza degli stabilimenti e delle lavorazioni che forse solo adesso, con l’intervento di altri privati, la Colacem di Gubbio, parrebbe aver invertito la tendenza quantomeno in riferimento alla lavorazione cementiera. Dell’asfalto e della pietra pece si occupano ormai solo la Ancione e qualche artigiano stimolato da illuminati architetti che non solo nei lavori di restauro, ma anche nel nuovo, utilizzano la pietra pece.
La pietra che ha fatto Ragusa.
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